Andare al mare quando ero bambina era davvero una cosa seria, un vero e proprio affare di stato direi. Premessa obbligatoria: vivo in Sardegna, ed è cosa ormai risaputa (e anche un po’ un luogo comune forse) che le famiglie del Sud, quando vanno al mare, non la prendono tanto alla leggera. E’ così che quella che si immagina sarà una giornata di completo relax si trasforma in una vera e propria giornata lavorativa, con tutti gli annessi e connessi del caso. Vediamo come.
Il pranzo al mare.
Il pranzo al mare, quando avevo sui 7/8 anni, era equiparabile ad un pranzo di Natale. Mia madre, che in queste occasioni si attivava in modalità macchina da guerra, cominciava a preparare dalla sera prima. Il suo cavallo di battaglia era quasi sempre rappresentato dalle fettine di pollo impanate. Per cui, il giorno precedente alla sortita marittima, scongelava i petti di pollo, li riduceva in fettine, li appiattiva col batticarne, dopodiché li immergeva nell’uovo e li lasciava riposare tutta la notte.
Nel frattempo si portava avanti con la portata principale: le lasagne. Anche in questo caso, procedimento laborioso. Non crederete mica di poter cucinare le lasagne sfilandole dalla confezione e schiaffandole senza troppi preamboli sulla teglia, per poi condirle! Errato! La pasta andava prima sbollentata, poi distesa, foglio per foglio, su tutto il tavolo, morbidamente adagiata su dei canovacci, tamponata con delicatezza, fatta intiepidire, e solo allora poteva ricevere il condimento ed entrare nel forno! Per il mare, questo e altro.
L’indomani, alle 5.30 del mattino, mamma cominciava a friggere le fettine, diciamo sessanta: in famiglia eravamo quattro figli; contando madre e padre venivano almeno sei fettine a testa. Più le lasagne, ovviamente, o c’era il rischio che potessimo deperire.
Alle sette venivamo buttati giù dal letto. Dopo aver fatto colazione ed esserci impregnati ben bene i capelli dell’odore di fritto, ci infilavamo il costume e aiutavamo mamma a riempire la borsa frigo, che non era certo piccola e maneggevole come quelle che si usano adesso. Si trattava di un arnese grande più o meno come un bagaglio a mano della Ryan Air, rigido e quasi sempre arancione, in cui sembrava poterci stare mezza dispensa. E in effetti, tra lasagne, fettine impanate, acqua, succhi alla pera, merendine, crackers e la frutta, lo spazio era necessario. Eh sì, perché non esisteva un pranzo al mare senza la frutta.
E quale frutta poteva essere all’altezza di cotanta roba, se non l’anguria? Cioè, in pratica noi, dopo una amena mattinata al mare, tra bagni e racchettoni e castelli di sabbia, all’una in punto ci ingolfavamo di lasagne e pollo fritto, per concludere in bellezza con quattro fette di anguria a testa. Al termine del pranzo tornavamo in spiaggia a suon di rutti e con la pancia tipo mongolfiera.
Il bagno.
Dopo questo pranzetto leggero per me e i miei fratelli un bagno sarebbe stato, come dire, un toccasana. Mamma, giustamente, sosteneva dovessimo aspettare circa quattro ore, meglio cinque. Tragedia! Che fare, se l’acqua è vietata?
Beh, una strategia davvero geniale è continuare a chiedere ai genitori, con intervalli di cinque minuti, quanto tempo è passato e quanto manca all’ora prestabilita per il bagno. In seguito, altra tattica infallibile, approfittando di un momento di distrazione (la mamma sta facendo il cruciverba e il papà è in coma post-prandiale), avvicinarsi quatti quatti all’acqua e toccarla prima con la punta dell’alluce, poi avanzare pian pianino fino alla caviglia, poi…poi niente, i genitori ti beccano col loro radar interno e ti richiamano all’ordine.
Passano due ore, ne mancano ancora quattro. Dopo aver fatto quindici castelli di sabbia e aver giocato ventitré partite di racchettoni, si comincia ad avvertire un leggero languorino. Ma bisogna resistere, o addio bagno. Finalmente il momento tanto atteso giunge. Ci si lancia in acqua e si rimane immersi per secoli, e ancora adesso non mi capacito di questa cosa. Cioè, ma cosa facevo tutto quel tempo in acqua?
Oltretutto non sapevo (e tuttora non so) nuotare. Boh.
La pacchia e il divertimento terminano quando tua madre ti controlla i polpastrelli delle mani e constata con sommo orrore che sono bianchissimi e grinzosi. Al che la pacchia è finita. Si esce dall’acqua e via subito un succo alla pera e una girella, più un pacchetto di crackers. La giornata al mare volge al termine. Si rincasa stanchi, di quella stanchezza calda e avvolgente che solo il mare ti sa regalare, e un pelino appesantiti, ma ne è valsa la pena.
Al mare oggi.
Ormai vicina alla quarantina, quando vado al mare con le mie amiche la parola d’ordine è orizzontale. Questo implica che si arrivi in spiaggia e ci si sdrai a tempo record, funzionando poi come un girarrosto, e calibrando attentamente la quantità di sole da prendere su tutti i lati. Si suda parecchio, ma la tintarella è assicurata.
Ci si alza esclusivamente in punto di quasi-morte, dopo aver perso quindici litri di liquidi in sudore, per avvicinarsi all’acqua con circospezione e bagnarsi vagamente i polsi e le caviglie. Si torna il più velocemente possibile in posizione orizzontale e si continua in modalità girarrosto, come prima. Unici svaghi: quelli che si possono realizzare in posizione orizzontale, ovvero leggere e ascoltare musica con le cuffie. I racchettoni non sono contemplati, dato che prevederebbero la posizione verticale, così anche la palla, le bocce, o qualsiasi arnese che richieda movimenti eccessivi.
Il pranzo? Un gelato o un panino al bar vanno benone, tanto poi a cena si recupera con una pizza.
Vi lascio con questa foto, dove io e la mia amica diamo un esempio pratico del concetto di mare “orizzontale” (per la cronaca, io sono quella col costume a strisce elegantemente stravaccata sul lettino: probabilmente stavo dormendo e pure sbavando) e con un interrogativo: ma come cazzo riuscivo a fare bagni di tre ore?
Questi sono i momenti in cui rimpiango di non aver avuto genitori normali. Se mia madre si fosse mai messa a cucinare fettine panate in stile Licia la famiglia si sarebbe rivoltata in una defenestrazione di Prato subitanea.
Comunque il problema non si poneva perché io per tutta l’infanzia e l’adolescenza ho fatto le vacanze della principessa Sissi che consistevano in 3 mesi di mare in Versilia in una villa che veniva appositamente affittata da genitori e zii affinché potessimo tutti “fare il mare, che ai bambini fa bene”, quindi noi si pranzava tutti al ristorante dello stabilimento, e invece del neromio di seppia io avrei tanto voluto le lasagne fredde (sono sempre stata di gusti rustici).
All’epoca mal sopportavo queste vacanze in compagnia, le grigliate di pesce in giardino e le feste col dj in puro stile anni ’80 e ’90 (ero anche assai sciocca)
Adesso che sono povera e le ferie, se va bene, durano 4 giorni e prevedono pranzi con insalate di riso sulle panchine la penso un po’ diversamente…
Quel che non è cambiato è che dopo 10 minuti stesa al sole mi viene l’orchite, e che starei sempre in acqua!
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A me invece non mancano quei pranzi luculliani..preferisco il tramezzino e la pizza a cena! Comunque non avrei mai detto fossi una appassionata dei bagni!
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Confesserò anche che vado in piscina ben tre volte la settimana… mi piace proprio stare nell’acqua 😂 (Il fatto che non dimagrisca nonostante l’attività fisica la dice lunga sui miei pasti luculliani)
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Non ho avuto in dote nessun parente del sud per cui quando andavo al mare ho sempre fatto pranzi normali con pausa tassativa di tre ore prima del bagno. Ti confesso però che non mi dispiacerebbe provare una giornata in spiaggia con lasagne e carne fritta, mi sembra tutto molto appetitoso. Sarebbe la perfetta giornata in spiaggia per me. La tintarella invece me la risparmio, mi scotto sempre. (Mi sono scottata pure in Inghilterra, breve storia triste).
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Il pranzo luculliano in spiaggia è una cosa che va provata almeno una volta nella vita (e il bagno dopo 4 ore almeno)
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