Come imparare il francese a suon di figuracce e dando l’impressione di essere una perfetta deficiente

Esattamente un anno fa partivo a Parigi per realizzare un sogno: trovare un lavoro, una casa e trasferirmi in quella meravigliosa e nuvolosissima città per sempre.

Dopo poco più di un mese sono dovuta rientrare in Sardegna, e ciao ciao sogno e ciao ciao Parigi, ma va beh, si vede che doveva andare così (questa è la frase che tutti, parenti amici e conoscenti, mi hanno ripetuto e che io continuo a ripetere come un mantra nella mia testa, magari mi auto-convinco che non è un modo di dire ma la verità nuda e cruda); certo però, devo ancora capire la misteriosissima ragione per la quale DOVEVA ANDARE COSì, ma va beh, dettagli.

Comunque. Con il post di oggi non vi frantumerò i maroni raccontandovi i particolari del clamoroso fallimento della mia avventura francese. Piuttosto mi concentrerò sull’aspetto più comico della medesima, che è consistito, una volta giunta a Parigi, nell’incontro-scontro con la lingua più chic e allo stesso tempo più snob del mondo: il francese.

Premetto che qualche mese prima del trasferimento avevo fatto scorta di libriccini vari dai titoli rassicuranti, tipo:

Come imparare il francese in 5 minuti o poco più

5 frasi indispensabili per vivere a Parigi

Un francese perfetto senza sforzi

Dopo circa 40 giorni di queste edificanti letture sapevo, o almeno, credevo di sapere, come presentarmi, chiedere dove si trovava l’ufficio postale, comprare una dozzina di uova e due tavolette di cioccolato e ordinare un bicchiere di vino bianco. Beh, se non altro non sarei morta di fame.

Ovviamente ero cosciente del fatto che ascoltare un cd con una voce registrata che scandiva perfettamente ogni parola e nel contempo leggere il testo che veniva declamato dal cd, non avrebbe mai potuto prepararmi abbastanza ad una conversazione reale con un francese in carne ed ossa.

E difatti l’impatto con i parigini e la loro fluente parlantina è stato a dir poco drammatico.

I primi due giorni non avevo avuto problemi di sorta, dato che giravo scortata dal mio fidanzato, che il francese invece lo parla benissimo. Il terzo giorno la cuccagna era giunta al termine. Avevo trovato lavoro in una epicerie, un negozio a metà tra una gastronomia e una salumeria; i proprietari, italiani, si erano convinti ad assumermi nonostante non conoscessi la lingua, dopo avermi fatto sostenere un colloquio durante il quale avevo afferrato un termine chiave: jambon, ovvero prosciutto. E il negozio in questione vendeva salumi, quindi bingo! Colloquio superato brillantemente.

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Ok, ok, colloquio superato a malapena…ma d’altronde c’era la possibilità che da quel giorno in poi ogni cliente ordinasse prosciutto, e tutto sarebbe filato liscio.

Era arrivato quindi il mio primo, fatidico, giorno di lavoro. La titolare, pazientissima e gentilissima, mi aveva spiegato un po’ di cose, tipo quali erano i prodotti in vendita,  i prezzi, come usare bilancia e affettatrice eccetera. Dopodiché mi aveva fatto assistere ad un paio di vendite in diretta, durante le quali avevo sudato freddo.

Non capivo una parola. Nessuno degli avventori parlava di jambon e io ero nella merda.

A un certo punto la signora aveva sorriso gioiosamente e mi aveva detto:

“Vai, buttati Francesca! Io sto qui vicino e se non capisci qualcosa intervengo!”

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SE non capisci qualcosa. Perché usare una proposizione ipotetica a casaccio? Queste cose mi fanno imbestialire.

Di lì in poi è cominciato il Francesca-show, altrimenti intitolato Come-imparare-il-francese-a-suon-di-figure-di-merda-e-dando-l’impressione-di-essere-una-perfetta-deficiente.

I clienti che entravano e incrociavano il mio sguardo atterrito capivano immediatamente che c’era qualcosa che non andava; tuttavia procedevano con le loro richieste, in francese ovviamente, e dato che non capivo una mazza di quello che dicevano, mi concentravo sui loro occhi e sulle mani, per intuire dalla direzione dello sguardo o da un dito puntato di cosa avessero bisogno.

Il risultato era che sembravo una psicopatica sordomuta, poiché fissavo la gente con una attenzione quasi spasmodica ma non spiccicavo una parola, dato che mi vergognavo anche solo di pronunciare Au Revoir con una r moscia che somigliava a una pessima scatarrata.

Nei giorni successivi avevo continuato a trasmettere le repliche di questo patetico spettacolo, con la differenza che interagivo maggiormente. Nel senso che almeno salutavo i clienti a voce, in sostituzione del breve cenno col capo accompagnato da timido sorriso di benvenuto. Qualche vocabolo cominciava a farsi strada nel mio cervellino impaurito e a cementarsi nella memoria: oltre all’amato jambon imparavo anche la denominazione dei peperoni, delle zucchine, della carne di maiale e del salmone.

La mozzarella invece è uguale, solo che i parigini la pronunciano più o meno così: moZDarela. Inutile illustrarvi il mio gaudio quando mi veniva richiesta la moZDarela, pari solo a quello provato nel momento in cui sentivo pronunciare la parola jambon.

Per fortuna ero sempre assistita, o dalla titolare del negozio o dalle fantastiche colleghe, che grazie al cielo parlavano tutte italiano.

Questo succedeva al lavoro.

Fuori dal lavoro non c’era un cazzo di nessuno ad assistermi, quindi le figure di merda e gli attimi di panico si moltiplicavano all’ennesima potenza.

Avete presente quando state aspettando il treno/la metro e ad un certo punto sentite la voce dell’altoparlante che vi avverte di un piccolo inconveniente e di eventuali ritardi? Ecco. Provate a immaginarvi nel medesimo frangente ma in un paese del quale non conoscete la lingua.

Cioè: attimi di puro terrore.

Una mattina ero per l’appunto in attesa del treno per recarmi al lavoro e improvvisamente avevo sentito gracchiare l’altoparlante che sputava erre moscia a volontà e per mia disgrazia non stava parlando né di jambon né di moZDarela. Mi ero guardata intorno per capire le reazioni degli altri pendolari e con orrore avevo notato che tutti sbuffavano incazzati neri, giravano i tacchi e se ne andavano.

Avessi saputo come dirlo in francese avrei gridato: “Dove andateeee portatemi con voi vi pregooooo”.

Niente, mutismo e rassegnazione.

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Sull’orlo della crisi isterica avevo chiamato al telefono il mio fidanzato che, non ricordo come, era riuscito a calmarmi e a dirmi di controllare un tabellone (tabellone chiaramente sfuggito alla mia vista) nel quale erano segnati orari e ritardi e tutte queste informazioni abbastanza utili.

Per non parlare dei bar, anzi, scusate, dei Cafè francesi. Dopo circa una settimana di figuracce mi ero sentita pronta per entrare in una brasserie e ordinare la mia colazione in un francese stentato ma (speravo) comprensibile.

Nell’imbarazzo più completo e a mezza voce avevo chiesto un croissant e un cafè au lait (che in teoria dovrebbe corrispondere al nostro caffellatte, in pratica è una miscela di latte e caffè IN-CAN-DE-SCEN-TE). La commessa mi aveva chiesto una roba incomprensibile che finiva (secondo il mio udito) in AT, quindi, non volendo spazientirla domandandole di ripetere più lentamente, avevo pensato non potesse trattarsi altro che di CHOCOLAT. Forse mi stava proponendo di aggiungere il cacao al caffellatte? Quindi avevo ripetuto tutta trionfante:

“Oui, chocolat!”

e quella mi aveva guardata con lo sguardo particolare che solo i parigini sono in grado di realizzare: una roba a metà tra il sei-deficiente-o-cosa e il mi-stai-facendo-perdere-tempo-razza-di-imbecille.

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Al che, pericolosamente indispettita, la tizia era passata dal francese all’inglese, facendomi capire che in realtà mi aveva chiesto “Sur place?”, ovvero “Da consumare sul posto?” e non chocolat.

Va beh.

E insomma, in un mese scarso figuracce di questo tipo ne avevo collezionate parecchie a Parigi, ma devo ammettere che erano tutte servite. Dopo ognuna di loro infatti imparavo qualche frase nuova, che difficilmente dimenticavo.

A distanza di un anno le mie reminiscenze del francese, oltre ai già citati jambon e moZDarela, si riducono a questo:

  • voilà o et voilà: intercalare usato come il pane in qualsiasi occasione e in ogni discorso, anche a casaccio, così, quando non sai che cazzo dire
  • bbb-b-b-bb-bab-b-bbba-oui: far precedere un semplice oui da un balbettio continuo e fastidioso è cosa comune a Parigi, a significare l’ovvietà del concetto col quale si è d’accordo. Accompagnare il tutto con un’espressione a metà tra il: ovviamente-si-perché-me-lo-chiedi e il: con-le-tue-inutili-domande-mi-stai-facendo-sprecare-minuti-preziosi-della-mia-esistenza.
  • pppfffffffff: tipico sbuffo dei parigini, utilizzato quando si vuole significare il profondo disgusto per qualcuno/qualcosa o il seguente concetto: non-me-ne-può-fregare-di-meno.

Ebbene, pronti per una vacanza nella Ville Lumière? Con i miei consigli non avrete nessunissimo problema di interazione!

Ah, un’ultima cosa, ragazze: anche se avete 19 anni tutti, dico, TUTTI, anche i vostri coetanei, vi daranno del voi e vi chiameranno Madame.

Però, dai, Madame fa molto meno menopausa di “Signora”, giusto?

Voilà!

 

9 pensieri su “Come imparare il francese a suon di figuracce e dando l’impressione di essere una perfetta deficiente

  1. Ah Paris! A parte la snobberia imperante e le banlieues è fantastica. Quando ho lavorato in Francia a inizio anno però mi è toccato pure girare il Grand Est e non ti dico gli sguardi sospettosi dei negozianti quando scoprivano che oui j’étais italienne e, encore plus mal, je travaillais pour les anglais 😀

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  2. Assolutamente d’ accordo! Parigi è magica, nonostante i parigini! Poi io ho generalizzato per comodità e per ridere un po’ di più, ma di certo lo sguardo francese da tu-sei-una-merda-ah-sei-pure-italiana l’ ho incrociato parecchie volte!

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  3. Parigi é deliziosamente incantevole anche io l adoro nonostante non so un h di francese…e ti dico i parigini sono un pochino snob in quanto pure se parlavo inglese nn capivano e molti mi hanno detto che parlavano solo francese 😡odiosi nn tutti meno male

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  4. Hahahhahaah fantastica….Tu si che puoi capire come mi sono sentita io quando ho provato ad avvicinarmi al francese a parigi. .ma ho gettato la spugna e andavo in giro con Google traduttore in mano😂 comunque paris è semplicemente unica…quindi nonostante la grande simpatia dei francesi 🙈 ci tornerei mille altre volte (MAGARI PRIMA FACENDONE RIPASSO DELLA LINGUA,AHHAHAHAHA)😉

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