Quando ho trasformato il Natale in un bussiness ma sono rimasta povera lo stesso

Io non è che vada pazza per il Natale, ma nemmeno dico che lo detesto, perché in effetti non lo detesto. Premetto che non sono religiosa, e anche se ormai si parla di una festa che da un pezzo ha perso gran parte del suo significato originale, trovo che amarlo alla follia e festeggiarlo come se fosse un giorno speciale sarebbe da parte mia abbastanza incoerente.

Detto questo, ammetto che esistono alcuni aspetti meramente estetici del Natale che mi piacciono, ovvero le città addobbate e piene di luci, i mercatini, le pasticcerie strapiene di biscotti, il panettone (con i canditi, ma che cosa vi avranno mai fatto i poveri canditi per odiarli così tanto?), il pandoro inzuppato la mattina nel caffellatte e, dulcis in fundo, i regali.

Seeeeee, seeeee, lo so, i regali dovrebbero essere fatti quando ci si sente di farli e non solo perché è Natale e a Natale ci si fa i regali. Però a me i regali piacciono da morire, poi che arrivino il 25 dicembre o il 10 luglio, poco importa. Un regalo è sempre ben accetto, a meno che non vi presentiate con un ferro da stiro, come recita la criticatissima pubblicità di Pandora: no, perché se lo fate capirete improvvisamente come un ferro da stiro possa trasformarsi in un’arma di distruzione di massa. Allo stesso modo non mi interessa nessun bracciale di nessunissima marca: io i gioielli li rompo, li perdo o li vendo, e non qualche volta. Sempre.

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Comunque, dicevamo, il Natale. Tutta questa premessa per raccontarvi che a dicembre di circa tre anni fa ero. Nella. Merda. Più. Totale.

Avevo appena perso il lavoro in una maniera che definire inaspettata sarebbe un eufemismo. Non sapevo che pesci pigliare, e anche se non stavo morendo di fame perché grazie al cielo avevo, e ho, una famiglia e un fidanzato alle spalle, dovevo assolutamente trovare un’occupazione e guadagnare qualche soldo.

Una delle mie migliori amiche, Laura, si trovava più o meno nella stessa situazione, e tra una paranoia e l’altra su quanto eravamo sfigate le era venuta una brillante idea: trasformare il Natale in bussiness e uscire dal tunnel-del-portafogli-vuoto.

Io, non avendo la benché minima idea di come si sarebbe sviluppato questo “progetto”, avevo approvato e aderito con entusiasmo, lo ammetto. Almeno fino a quando non avevo realmente capito di cosa si trattava. Ma non voglio tenervi sulle
spine. Ordunque: il piano necessitava inderogabilmente di tre cose:

1) Comprare un costume da Babbo Natale al prezzo più stracciato che esistesse

2) Rovistare in casa alla ricerca di oggettini e chincaglieria decente, bigiotteria e articoli vari da impacchettare graziosamente

3) Allestire un banchetto nella via principale dello shopping e proporre l’acquisto di pacchetti sorpresa per Natale al costo di 1 solo euro.

Geniale, no? Diciamo che le prime due fasi erano state abbastanza semplici. Avevamo trovato un costume da Babbo Natale di circa dieci taglie in più rispetto alla nostra e di un tessuto a dir poco delicato per la modica cifra di euro 10. Il problema della taglia era stato immediatamente aggirato da numerosi e voluminosi maglioni indossati ad hoc sotto quella che era una specie di vestaglia natalizia, sia per ripararci dal freddo di Dicembre, sia per dare un aspetto più massiccio alle nostre silhouette taglia 38/40 (all’epoca avevo circa 5 chili in meno, ebbene sì, c’è stato un tempo in cui ero magra, e non mi riferisco a quando frequentavo le elementari).

Avevamo completato il nostro travestimento con un sapiente make-up sui toni del
natural-beige ravvivato da un rossetto rosso fuoco per dare un’apparenza il più natalizia possibile a tutto l’insieme. Tuttavia avevamo deciso di non indossare la barba. Si trattava di una decisione strategica poiché a nostro avviso saremmo state

A) più carine e appetibili con la faccia imberbe e aperta su un super-sorriso-da-oh-oh-oh-viva-il-Natale

B) quella terribile barba finta faceva un prurito pazzesco

Una volta portata a termine la prima parte del bussiness avevamo proceduto con un accuratissimo esame dell’ oggettistica in nostro possesso che fosse in condizioni decenti e potesse essere riciclata e riportata sul mercato. Per fortuna avevo un sacco di orecchini che non usavo più, e anche svariate forcine colorate per i capelli (evidentemente nessuno aveva il coraggio di dirmi che se le possono permettere solo le bambine dai 5 anni in giù).

In ogni caso avevo trovato un bel po’ di cosette carine.
A parte gli orecchini, dai recessi dei miei cassetti erano spuntate anche collane che pesavano quanto 4 arance (no comment) e qualche infelice acquisto, tipo libri che non avevano esattamente fatto la storia della letteratura. Insomma, c’era il tanto per dare inizio al nostro affare.

Per trasformare il Natale in un bussiness era inoltre di fondamentale importanza preparare dei pacchetti attira-clienti. Devo ammettere che la fase di impacchettamento era stata la più rilassante in assoluto: io e Laura chiacchieravamo, bevevamo caffè, impacchettavamo, chiacchieravamo, tè con biscotti, impacchettavamo…et voilà! Eravamo sazie e pronte per cominciare.

Avevamo riempito due capienti borse con tutti i pacchetti confezionati ed eravamo uscite di casa cariche come muli, perché oltre alle buste piene di regali trasportavamo un piccolo tavolo in plastica, una tovaglia, nastri vari e la vestagl…ehm, il costume da Babbo Natale. Per la vostra gioia ecco un documento fotografico:

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Carine, no? Da notare la mia espressione (sono quella a sinistra) a metà tra lo sconforto e il perché-non-sono-a-casa-stravaccata-sul-divano-davanti-alla-stufa?

Giunte in una delle vie più trafficate di Cagliari, avevamo posizionato il nostro “banchetto” cercando di ignorare gli sguardi curiosi/inorriditi della gente che ci passava davanti.
La tovaglia l’aveva portata Laura, e contavo sul fatto che fosse bellissima e soprattutto rossa, come Natale richiede.

Per la serie aspettativa vs realtà.

La signora tovaglia tanto per cominciare era tutta appallottolata e spiegazzata, e guardandola con più attenzione:

”Laura, ma quella è una macchia di caffè? E quell’altra cos’è? Sugo?”

Laura era caduta dalle nuvole:

“Eh? Nooooo, non credo, magari è un po’ scolorita qua e là.”

Scolorita, certo. Va beh, tanto dovevamo ricoprirla di pacchetti regalo.

Ecco, era tutto pronto. Avevamo indossato la giacca da Babbo Natale, il cappello e via: non restava che aspettare i clienti.

Ma.

Ma ad un certo punto avevo osservato con orrore Laura afferrare uno dei pacchetti,  posizionarsi davanti al tavolino, sorridere e cominciare a bloccare la gente che
passava esclamando:

“Salve, buonasera! Vuole acquistare un’idea regalo per Natale a solo un euro?”

Oh. Mer.Da.

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E io che credevo di dover stare ferma davanti al banchetto e aspettare che i clienti si avvicinassero spontaneamente! Non sarei mai riuscita a disturbare la loro passeggiata proponendo l’acquisto di un pacchetto natalizio “a sorpresa”.

Mi ero impietrita per l’imbarazzo. Laura mi aveva guardata con aria mammesca dicendo:

“Dai, dobbiamo proporre le nostre idee-regalo! Altrimenti ci ignoreranno o penseranno che stiamo facendo uno spettacolo natalizio GRATUITO per i bambini!”.

In effetti non aveva tutti i torti, poi la parola GRATUITO mi aveva trasmesso un certo senso di panico, quindi mi ero rassegnata.

Nel frattempo lei, dopo cinque minuti di sorrisi smaglianti e di squillanti proposte,aveva attirato il primo cliente: una mamma con tre bimbe al seguito, che ci avevano guardate con gli occhi spalancati e meravigliati:

“Mamma mamma, Babbo Natale non è maschio?”

Io avevo pensato furiosamente a una risposta decente da dare, ma la mia amica era preparatissima e mi aveva preceduto.

“Noi siamo le AIUTANTI di Babbo Natale!”

Grandiosa! Perché non era venuto in mente a me?

“Mamma mamma, dove sono le renne?”
aveva quindi chiesto una delle bambine fissandomi seria. Ok, toccava a me dare una sensazionale risposta.

“Ehm…le renne, certo. Dunque, le renne…le renne sono malate!”

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Malate? Terribile. La bimba infatti aveva continuato a fissarmi con gli occhi sempre più tristi.

“Ma come, malate? Che cos’hanno? Mamma mamma le renne sono malate!”

Io sono sempre stata una frana con i bambini.

“Sii sono malate, ma Babbo Natale le sta curando! Ecco perché ci siamo noi oggi al suo posto!”

Laura for President.

Insomma, nonostante la mia scarsa abilità nel gestire i faccia a faccia con gli esseri umani al di sotto dei 18 anni eravamo riuscite a concludere la prima vendita di ben 3 euro. Io piano piano e con mia grande sorpresa mi ero sciolta e avevo cominciato a imitare Laura: avevo afferrato un pacchetto e selezionato l’umanità di passaggio. Dopo dieci minuti avevo capito che:

A) Le signore e i signori anziani passavano dritti dopo averti guardata dalla testa ai piedi con una smorfia di disgusto e la nuvoletta di pensiero che diceva: PATETICHE

B) Molto poco politically correct da dire e da scrivere ma vero: i clienti migliori erano i ragazzi, meglio se soli, meglio se bruttini e sovrappeso: entusiasti di essere bloccati da due ragazze mediamente carine e super-sorridenti tanto da non riuscir MAI a dire di no.

Certo allenarsi a dare le risposte adeguate alle domande dei bambini era un po’ più
complicato. Mi stavo impegnando seriamente, ma poi avevo chiesto ad un bambino cosa avrebbe voluto ricevere come regalo di Natale e lui aveva affermato con aria candida:

“Una MOTOSEGA”

Beh. Futuri serial killer crescono. O futuri falegnami, perché no.

Comunque. Il bottino del nostro bussiness si era rivelato appena passabile. Dopo una settimana di “mercatino” avevamo guadagnato circa un centone a testa, di cui la metà re-investito per acquistare scotch, carta da regalo e ninnoli vari da impacchettare e rivendere.

Non mi sentivo così sfigata da quando frequentavo le scuole medie e i compagni di scuola mi prendevano in giro per il cognome, ovvero Pola, che sulle loro bocche diventava magicamente “pollo”.

Eh sì, anche io sono stata bullizzata. Psicologicamente, intendo.

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Ebbene, tirando le somme trasformare il Natale in un bussiness si era rivelata un’impresa fallimentare, dato che eravamo rimaste povere come e forse più di prima.

Però, ragazze, divertimento assicurato, insieme al freddo, ovviamente, e alle figure di merda di fronte ai bambini di sesso maschile che supplicavano i genitori di acquistare il pacchetto regalo a 1 euro per poi aprirlo seduta stante, scoprendo di aver appena comprato delle forcine per capelli fucsia.

E qui vi abbandono. Non posso lasciarvi con una foto del mio albero perché non l’ho fatto e non credo lo farò, ma se dovessi sentirne l’esigenza sarebbe sicuramente un albero approssimativo, così come la sottoscritta e i suoi Natali.

Merry Christmas, ci si rivede al prossimo post!

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10 pensieri su “Quando ho trasformato il Natale in un bussiness ma sono rimasta povera lo stesso

  1. Divertente perche’ mi ricorda un banchetto che feci anni fa per la festa del mio paese. Vendevo pigotte fatte da me: la gente si fermava, mi guardava e tirava dritto. Ne ho venduta una…a mia mamma😄

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  2. Fantastico! La tua faccia nella foto dice tutto!!! I tizi bruttini e in sovrappeso comunque sono sempre il cliente ideale, io ero riuscita a proporre del balsamo per capelli a un paio calvi quando ho fatto la promoter al supermercato 😀

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