Mimi Ayuhara, la pallavolista più splatter degli anime giapponesi.

Da qualche settimana (o forse da più tempo ma io me ne sono accorta solo di recente) la mattina su Italia 1 c’è un bel revival di cartoni animati anni 80…così, giusto per traumatizzare ed abituare alla sfiga cosmica distruttrice di speranze e sogni una nuova generazione di bambini.

Quindi via libera ad Annette, la psicopatica delle montagne detentrice del premio-crudeltà-e-rancore-imperituri. E via libera pure alle avventure semi-pornografiche di Georgie, la gatta morta degli anime giapponesi che tutte noi avremmo voluto essere almeno una volta nella vita, non foss’altro che per liquidare l’inutile Lowell regalandogli un buono sconto da un parrucchiere bravo e sollazzarci con Abel, il maschio Alfa talmente Alfa che difatti può esistere solo nei cartoni.

Poi c’è pure Mila, la nostra favorita: spirito vivace, capelli arancioni, stesso parrucchiere di Wolverine, formidabile giocatrice di pallavolo nota soprattutto per il suo temutissimo SUPER-ULTRA-SERVIZIO-DEVASTANTE, perfezionato grazie ad estenuanti e piuttosto violente sessioni di allenamento insieme al mitico Mister Daimon: un omone poco raccomandabile che terrorizzava psicologicamente e fisicamente (a suon di ceffoni micidiali) le sue allieve.

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Che dilettante.

Certo, perché se davvero vogliamo parlare di sport estremi e allenamenti degni di una scuola per futuri gladiatori dobbiamo riesumare Mimì Ayuhara: una che è stata e si è sottoposta a training talmente disumani che ci chiediamo come abbia fatto a sopravvivere.

Riassumiamo velocemente.

Il cartone animato su Mimì è ispirato a un manga sportivo la cui autrice è una certa Urano Chikako. La serie approda in Italia nell’ormai lontano 1981 e noi la conosciamo con un altro titolo ma all’epoca esordì come “Quella magnifica dozzina”.

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Che sarebbe stata un’ottima scelta se si fosse trattato di un film western con John Wayne o Clint Eastwood, ma per un cartone animato incentrato su una adolescente amante della pallavolo non è proprio il massimo.

Fortunatamente chi di dovere rinsavisce e cambia il titolo in un più appropriato “Mimì e la nazionale di pallavolo”, così come lo abbiamo conosciuto noi.

Protagonista è appunto Mimì, una ragazzetta sui 12 anni con i capelli scuri perennemente raccolti in una codetta avvolta da un abnorme fiocco giallo e i basettoni che boh, sono incomprensibili quasi quanto le dimensioni del fiocco. La giovane si trasferisce in un nuovo liceo dove incontra un sacco di gente simpatica. Tipo colei che poi inspiegabilmente diventerà la sua best friend: Midori, una con la faccia da stronzetta acida che in effetti lo è davvero, sia stronzetta sia acida. E pure un po’ manesca…del resto Mimì si allenerà a fare i bagher con le catene ai polsi, quindi cosa volete che fosse per lei un ceffone.

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Immagine tratta da digilander.libero.it

Entrambe le ragazze entrano a far parte della squadra di pallavolo scolastica che guarda caso parteciperà ad un campionato mondiale. Partita dopo partita, torneo dopo torneo, Mimì alla fine diventa talmente brava da arrivare alla finalissima e conquistare nientemeno che la Coppa del Mondo, tutto questo se non erro prima di compiere 18 anni…più o meno la stessa età in cui io ancora mi esaltavo a leggere Topolino.

Ma non siamo qui a ripercorrere la fulminea carriera sportiva della ragazza, piuttosto vorrei concentrarmi su alcuni aspetti di questo anime che ci sono rimasti impressi e ovviamente ci hanno traumatizzato a dovere, tanto quanto la morte della mamma di Bambi e quella di Mufasa nel Re Leone.

La tragica fine di Sutomu

Negli anime giapponesi sportivi si sa, l’amore non può esistere: ogni secondo di tempo libero va dedicato agli allenamenti, a disputare partite oppure a pensare agli allenamenti e a pensare alle future partite. Tutto il resto è noia, ed è pure noia platonica (Mila e Shiro docent), e Mimì in questo non è da meno. Ne fa le spese il povero Sutomu, cugino di secondo grado della ragazza e nemmeno tanto segretamente innamorato di lei, sentimento tiepidamente ricambiato. Talmente tiepidamente che a parte qualche passeggiata lungo la spiaggia nei ritagli di tempo non si quaglia, e non se ne parla proprio: le uniche palle che interessano a Mimì sono quelle da pallavolo, con buona pace di Sutomu che non solo prende picche dalla cugina: difatti definire il suo destino tragico non sarebbe esatto…qualcosa come catastrofico renderebbe meglio l’idea.

In pratica il giovane si trova costretto a lasciare la scuola per aiutare i genitori fruttivendoli, e già questo è sufficiente a spezzare il cuore di chiunque. Un brutto giorno Sutomu sta viaggiando su un camioncino trabiccolo carico di merce a velocità sostenuta per andare ad assistere all’ennesima partita della sua amata quando disgraziatamente ha un incidente e precipita da una specie di rupe altissima rompendosi parecchie ossa. Lo portano in ospedale in condizioni disperate, avvisano Mimì e lei molla la partita e si precipita…ah no, un cazzo. Non batte ciglio e continua a giocare perché la pallavolo prima di tutto.

Sutomu crepa tra atroci sofferenze chiamando a gran voce il nome della fidanzata che nel frattempo, nonostante le compagne di squadra sane di mente la esortino giustamente a lasciare il campo per correre in ospedale prima che quel povero cristo muoia, continua imperterrita a giocare dicendo tra sé e sé:

“Sutomu, aspettami, mancano due punti alla vittoria!”

Stronza fanatica senza cuore.

Le catene ai polsi

Mimì è letteralmente passata alla storia per le celeberrime catene ai polsi. Il merito va anche al suo allenatore, il temibile Mister Diego Nacchi, una specie di psicopatico al quale senza ombra di dubbio ci si è ispirati per la trilogia di Matrix:

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Immagine tratta da Hit Parade Italia

Pillola rossa o pillola azzurra? Niente pillole per Mimì, solo botte, catene ai polsi per potenziarne la resistenza (o per romperli definitivamente, chissà) e allenamenti sanguinosi con una palla in acciaio PVC che boh, non si capisce se questa disgraziata dovesse giocare a pallavolo o andare in Russia e fare il culo a Ivan Drago.

Pazzo il Mister ma ancora più pazza l’allieva che non solo non si ribellava a queste sessioni di allenamento splatter, ma quando capitava che si esercitasse insieme alle sue compagne di squadra faceva molto peggio, imponendo corse chilometriche sulla sabbia sotto il sole cocente, pallonate in piena faccia e zero pause: chi osava protestare veniva umiliato per la scarsa resistenza o schiaffeggiato a seconda della potenza delle lamentele.

La fisica, questa sconosciuta

Forza di gravità spostati, per Mimì e le pallavoliste di questo anime le leggi della fisica non esistono. Riepiloghiamo alcuni dei colpi migliori

GOCCIA DI CICLONE: Mimì schiaccia la palla che magicamente curva verso l’alto e si esibisce in una specie di vorticoso mulinello ipnotizzante per circa cinque minuti, dopodiché parte in quarta dritta verso l’avversario, pronta ove possibile a spaccare mascelle. Poi dicono che lo sport fa bene.

L’ATTACCO INVISIBILE: questa è facile…in sostanza Mimì colpisce la palla con una forza tale che questa diventa veloce, anzi, velocissima. Così veloce che non si riesce a vederla, anche qui col rischio che ti becchi in pieno viso rompendoti naso, mandibola o staccandoti un orecchio.

L’ATTACCO TRIPLO: le sorelle Aggisawa si librano verso il soffitto generando un tunnel turbinoso nel quale la palla è quasi invisibile, nel frattempo un’ altra giocatrice si esibisce in una capriola al di sopra di tutto questo casino, poi le tre tizie finalmente schiacciano, CON-TEM-PO-RA-NE-A-MEN-TE. Capito? Io no. In tutto ciò mi domando cosa c’entra la quarta tipa che fa la capriola, non c’era già mezza squadra in aria?

Allora, vi è venuta voglia di giocare a pallavolo?

Vi lascio con un video commemorativo:

6 pensieri su “Mimi Ayuhara, la pallavolista più splatter degli anime giapponesi.

  1. Diego Necchi? Ma davvero o è un nome che gli hai dato tu di fantasia?
    Comunque ora so perché non ho mai voluto fare sport da bambina… come si faceva a desiderare queste torture?

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  2. Ah,i giapponesi e l’impegno a ogni costo (nobile dolore) … mi ricordo anche altre serie (dolorosissime) di calciatori immersi nell’acqua a scalciare palloni appesantiti o robe così… E poi diciamocelo, due sganassoni fanno crescere la voglia di non sbagliare e fare doppio fallo*.
    * niente doppio senso

    Piace a 1 persona

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