L’Iliade, l’ira di Achille e l’origine del “porca troia”.

Tra Iliade e Odissea io ho sempre preferito la seconda, non tanto per il protagonista, che in realtà mi stava sulle palle, quanto per la varietà delle vicissitudini raccontate. Voglio dire, Ulisse ne ha passate parecchie durante il viaggio di ritorno a Itaca: le Sirene, quel tontolone di Polifemo, e poi Scilla, Cariddi, le cinquanta sfumature con la ninfa X e la maga Y (intanto Penelope, poveraccia, andava di uncinetto)…insomma, non ci si annoiava mai.

L’Iliade, invece. Parliamone.

Quindicimilaseicentoerotti versi distribuiti in ventiquattro canti: con una premessa del genere ci si aspetta come minimo che il poema racconti per filo e per segno ogni minuto dei dieci interminabili anni della guerra tra i Greci e gli abitanti della città di Troia, altrimenti nota col nome di Ilio (ma tutti ricordiamo meglio il primo che ho detto, chissà come mai).

E invece no.

L’Iliade, quel mattone straripante di esametri e di sanguinosi scontri tra eroi formidabili, espone gli ultimi 51 giorni dell’ultimo anno del conflitto.

Ripeto, ventiquattro canti e quindicimilaerotti versi per 51 giorni. Un porca troia qui ci vuole.

Se ne deduce che in quei due mesi scarsi sia successo quello che non era successo in nove anni e mezzo di scontri…in altre (e poco epiche parole): un gran porca troia. Scusate, ci stava bene anche adesso.

Vediamo un po’. Intanto, piccolo ripasso: perché i Greci guerreggiavano contro Troia? Il mito vuole che Paride, figlio di Priamo, re della città iliaca, fosse andato a Sparta per fare un po’ di public relations e avesse relazionato piuttosto bene (e anche troppo) con Elena, la moglie di Menelao, appunto re di Sparta. Ora, non so cosa ricordate della storia greca ma arrivare a Sparta e inciuciare con la moglie del re nonché rapirla sarebbe come andare in Israele a sventolare la bandiera palestinese: una pessima idea.

Difatti Menelao non la prende bene, e invece di telefonare alla redazione di Uomini e Donne e proporsi come tronista, si confida col fratello Agamennone, re di Micene. Quest’ultimo, pensando più che altro al fatto che Troia era una città molto forte dal punto di vista commerciale e che eliminarla non gli avrebbe fatto schifo, improvvisa un acuto attacco di amore fraterno e dichiara guerra alla città avversaria…in realtà delle corna di Menelao non gliene poteva fregar di meno, anzi, capitavano a pennello.

Attenzione, tutto questo non è oggetto del poema, se ne fa giusto qualche cenno tra un combattimento e l’altro.

Comincia il conflitto; passano più di nove anni e l’Iliade prende il via da un litigio tra Agamennone e Achille, ovvero il guerriero più forte dei Greci, altrimenti detto “il Pelide” o “il Piè veloce” (per intenderci, Brad Pitt unto e bisunto nel film Troy). Che dite, sarà stata una discussione su strategie di guerra, su importanti questioni di politica estera, sugli approvvigionamenti o comunque su roba seria, roba da condottieri con i controcoglioni?

Non esattamente.

In pratica Agamennone ha dovuto restituire ad un sacerdote del dio Apollo la figlia che aveva precedentemente fatto prigioniera, della quale si serviva per un po’ di bunga-bunga. Ritrovatosi improvvisamente privo di intrattenimento, il re miceneo decide di colmare il vuoto con Briseide, un’altra disgraziata che era a sua volta schiava di Achille…tutto ciò ovviamente senza chiedere il permesso, altra mossa assai poco intelligente perché Achille incazzato era peggio di Sgarbi nei suoi best moments.

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Achille scopre quindi che Agamennone gli ha “rubato” la schiava e, per ripicca, stabilisce di non combattere più e di grattarsi la banana fino al termine della guerra. Livello di maturità: grossomodo quello dei bambini dell’asilo, ma un pochino peggio. Ci mancava soltanto che si abbassassero le mutande per vedere chi ce l’aveva più lungo.

Benché i Greci non scarseggino di risorse umane, pare che senza Achille tutti incredibilmente si dimentichino come maneggiare una lancia=no Achille, no party e Troia ne trae gran vantaggio, tant’è che finalmente comincia a vincere un bel po’ di battaglie. Mentre il Pelide è in ferie, il suo migliore amico/probabile fidanzato, Patroclo, si impadronisce della sua inconfondibile armatura e si butta nella mischia fingendo di essere lui, in modo tale da infondere coraggio ai compagni…pessima idea, perché non è che ti rasi i capelli, fai un po’ di palestra e ti spacci per Bruce Willis se non sai dire “Yippee-Ki-Yay motherfucker” mentre uccidi il cattivo della situazione.

Qualcuno avrebbe dovuto spiegarlo a Patroclo, che va all’arrembaggio e si ritrova davanti il guerriero troiano più forte in assoluto: Ettore, figlio di Priamo, fratello di Paride. Il valoroso principe, scambiando Patroclo per Achille, lo attacca e lo elimina in tre secondi e mezzo. Non gli sembra neanche vero, e sta ancora cercando di capire se ha avuto una gran botta di culo o se tutto quel CrossFit stia dando dei risultati quando, sorpresa-sorpresa, leva l’elmo al nemico e scopre che non ha ammazzato Achille. Ha ammazzato il fidanzato di Achille. Al che Ettore esclama un “Porca troia” così forte che lo sentono fino in Marocco.

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Il Piè Veloce, venuto a conoscenza dell’accaduto, investito da ira funesta, va a fare un po’ di shopping e compra un’armatura nuova di zecca firmata Efesto (il dio del fuoco). Dopodiché dice ad Agamennone che in fondo non importa chi ce l’ha più lungo: i due quindi si riappacificano e via tutti a combattere. Non che Achille abbia bisogno di supporto: è talmente imbufalito che da solo, in dieci minuti, riesce in quello in cui non sono riusciti i Greci in nove anni e mezzo di guerra, cioè stermina mezza città.

Il Pelide tuttavia sta cercando Ettore, l’assassino di Patroclo. Il principe troiano ne è ben consapevole quindi, onde evitare che Achille compia un autentico genocidio, sbuca fuori dalle mura che cingono la città, pronto ad affrontare il nemico. Oddio, proprio pronto-pronto no, infatti:

Ed ecco Achille avvicinarsi, al truce
Dell’elmo agitator Marte simíle (…). Il riconobbe
Ettore, e freddo corsegli per l’ossa
Un tremor, nè aspettarlo ei più sostenne,
Ma lasciate le porte, a fuggir diessi
Atterrito.

Parafrasi: Ettore, appena vede arrivare Achille, letteralmente se la fa addosso e scappa a gambe levate. Il Pelide lo insegue facilmente (mica si chiamava “piè veloce” per caso), ma anche il troiano come velocista non se la cava male, e i due girano in tondo per tre o quattro volte. A un certo punto gli dei, che stavano a guardare sgranocchiando pop-corn, si rompono i coglioni di questo girotondo infinito e ad Atena viene un’idea: assume le sembianze di uno dei fratelli di Ettore, tal Deifobo, gli si materializza davanti e:

“O mio german”, dicea,
“Troppo costui dintorno a queste mura
Con piè ratto t’incalza e ti travaglia.
Or via restiamci, e difendiamci a fermo”.

Della serie: adesso sii uomo e combatti, che cazzo. Per cosa abbiamo pagato il biglietto altrimenti?

Ettore mangia la foglia, smette di correre e affronta Achille a muso duro. Il duello ha inizio: il Pelide scaglia l’asta ma manca l’avversario. Il troiano a sua volta effettua un lancio ma becca lo scudo nemico e si ritrova disarmato. Subito chiama a gran voce il fratello, chiedendo di portargli un altro giavellotto, ma al posto di Deifobo c’è Atena che gli dice “Pesce d’aprile, ciaone Ettore!”…l’eroe di nuovo urla un “Porca troia” che arriva fino al Madagascar, poi viene trapassato dalla lancia di Achille e muore.

Il poema termina con Priamo che va da Achille per pregarlo di rendere alla famiglia le spoglie del povero Ettore. Inizialmente l’eroe rifiuta poi, alla minaccia di essere convocato a C’è Posta per te e sorbirsi lo spiegone introduttivo di Maria De Filippi, cambia idea e rende il cadavere ai Troiani.

Chiudiamo con una parentesi etimologica: perché mai “troia” ha assunto il significato che ben conosciamo?

In realtà a quanto ho capito il mito c’entra poco; il termine deriva dal latino medioevale, e indicava la femmina del maiale, ovvero la scrofa…da “scrofa” a “donna di facili costumi”, “puttana”, “meretrice” o come la volete chiamare il passo è stato breve, così come è stata breve l’associazione tra Troia città e Elena di Troia, diventata magicamente Elena-troia…però guarda caso a Paride non sono stati affibbiati epiteti offensivi, nonostante anche lui si fosse comportato in maniera poco nobile.

La solita storia, sempre colpa delle donne.

Vi lascio con la consueta frase strategica di chiusura:

Come le famiglie delle foglie, così sono anche le stirpi degli uomini.

Omero dixit.

5 pensieri su “L’Iliade, l’ira di Achille e l’origine del “porca troia”.

  1. Non so se si dice anche in Sardegna, ma dalle mie parti si dice tanto che qualcosa è un “troiaio” e non è neanche una parolaccia, è solo la definizione di qualcosa che è fatto male ed è pure brutto.

    Per esempio, lo scorso Natale una mia parente mi ha regalato una borsetta porta trucco con paillettes verdi e oro. Un troiaio.

    Secondo me ha origine dai grandi troiai commessi nella città di Troia.

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