Nel post precedente avevamo lasciato il latin-lover Andrea Sperelli alle prese con le conseguenze di un rovinoso duello contro il marito di una delle sue innumerevoli amanti. La singolar tenzone era terminata infatti con una ferituccia intercostale, sufficiente tuttavia per interrompere le stoccate e tornare tutti a casa.
Il nostro convalescente viene gentilmente ospitato nella villa di una ricca cugina, e qui, a diretto contatto con la natura, riscopre un animo bucolico e passa le giornate appollaiato sull’erba a fissare l’orizzonte infinito e a pensare cose tipo:
“Io sono ammesso dalla natura nel più secreto delle sue divine sedi, alla sorgente della vita universa (…). Quivi odo il primo canto degli esseri in tutta la sua freschezza.”
Mah. Effetti della campagna…Toto Cutugno sarebbe d’accordo.
In questa specie di crisi mistica Andrea si auto-convince di non essere più così tanto interessato alle conquiste galanti, perché d’altronde per placare i sensi basta l’ “armoniosa poesia notturna dei cieli estivi”. Chissà che droghe giravano in quel periodo.
Quindi, tutto bellissimo, le stelle, Cassiopea, la Via Lattea, finché a un certo punto Sperelli avverte uno strano turbamento, un senso di vuoto, una pacata malinconia e insomma, per farla breve si rompe il cazzo della campagna e ricomincia ad avvertire, forte e chiaro, il richiamo della patata.
E’ proprio in questo periodo che la convalescenza viene allietata dall’arrivo di un’ospite inattesa, tale Donna Maria Ferres Y Capdevila, moglie di un facoltoso ministro. Ovviamente per Andrea, digiuno di sollazzi&affini da tempo immemore, è amore a prima vista. Il modus operandi è sempre lo stesso: fiori, profumi, dialoghi bisbigliati, ogni tanto qualche parolina dolce in latino, interminabili silenzi ma niente, Maria resiste stoicamente al corteggiamento. Un giorno poi, durante una romantica cavalcata , Sperelli sbrocca e parte con il disco rotto:
“Mi amate! Lo so che mi amate, dite che mi amate! Ah, voi mi amate!”
Pesante ma efficace: effettivamente Maria ammette di essere innamorata poi scappa al galoppo, evitando di trasformare la conoscenza platonica in conoscenza biblica. Dopo qualche giorno parte per ritornare dal legittimo marito, lasciando il povero Andrea a bocca asciutta. Rientrato a Roma, Sperelli si consola facilmente chiamando a raccolta i vecchi amici e facendosi dare la lista di dame trombabili, “peccatrici e impeccabili”. Poi, dopo essersi destreggiato tra due nobildonne contemporaneamente e aver compiuto una piccola trasferta a Londra e a Parigi, ricompare nella capitale e si “rituffa nel Piacere”.
In tali faccende affaccendato, viene improvvisamente turbato dall’incontro con Elena Muti, la sua ex-amante ora sposata, che non se lo fila neanche un po’. Incredulo, lui domanda un tête-à-tête e lei accetta, fissandogli un appuntamento per l’indomani stesso. Sssssì, peccato si faccia trovare in casa col marito ed entrambi lo trattino come un arredatore d’interni, chiedendogli dove sarebbe meglio mettere quel cassone e dove invece quell’arazzo. Un amaro rospo da inghiottire per Andrea che reagisce nel suo consueto modo maturo: cercando altre patate.
Una sera si imbatte nel marito di Maria, quella della campagna, e subito chiede info su dove si trovi la donna. L’uomo, nella sua immensa semplicità, ignaro delle corna incipienti, gli scrive addirittura l’indirizzo di casa su un fogliettino e da quel momento “il pensiero di Donna Maria lo dominò tutto”. Un minuto prima spostava cassoni a casa di Elena Muti masticando bestemmie, un minuto dopo di punto in bianco si interrogava su cosa avesse fatto la Ferres in quei mesi e su come avesse vissuto la lontananza e gli pareva fossero cose di vitale importanza.
Difatti non perde tempo: si reca subito da Maria e la riempie di stronzate:
“Ebbene, da quel tempo la mia miseria è divenuta più trista” (…………) “io non saprò mai dirvi tutte le mie sofferenze (…………………………………………..) “non saprò mai dirvi quante volte la mia anima vi ha chiamata” (………………………………………………………………………………………………………………………………).
La Ferres barcolla ma non molla, e decide di temporeggiare, dando appuntamento al giovane per il giorno successivo, in occasione di un concerto. Sfiga vuole che al suddetto concerto faccia la sua apparizione anche Elena. Andrea non batte ciglio, continua a seguire l’orchestra e a guardare Maria con adorazione poi, dato che la donna deve andar via in anticipo, le strappa la promessa di vedersi anche l’indomani, dopodiché si avvicina a Elena e comincia a flirtare forte. Alla fine dello spettacolo, la Muti offre uno strappo ad Andrea con la sua carrozza e, finalmente soli, i due ex amanti si danno alla pazza gioia, con una scena un po’ trash che, mi dispiace per gli animalisti, non posso non riportare:
“(…) ella si tolse dal collo con un gesto agile il lungo boa di martora e lo gittò intorno al collo di lui, in guisa d’un laccio (…), attirò il giovine; gli offerse le labbra, senza parlare.”
Che stile, eh?
Dopo questa pomiciata selvaggia, Elena fa fermare la carrozza e, senza tanti complimenti, dice ad Andrea:
“Discendi. Addio.”
“Quando verrai?”
“Chi sa!”
Il giovane, ancora mezzo intontito, risale nei suoi appartamenti, pensando confusamente che il boa di martora gli ricorda po’ la treccia di Maria, e riflettendo sul fatto che quando è con Elena gli sembra di amare lei e soltanto lei, quando è con la Ferres uguale. Conclusione?
“Io sono camaleontico, chimerico, incoerente, inconsistente. Bisogna ormai ch’io mi rassegni. La mia legge è in una parola: NUNC (=ora). Sia fatta la volontà della legge.”
Beh, l’importante è esserne consapevoli. Un bel passo avanti per il nostro aspirante Don Giovanni che da quel punto in poi, presa coscienza della sua vera natura, se la spassa il doppio di prima, cercando in tutti i modi possibili e immaginabili di portarsi a letto sia Maria che Elena, e ricorrendo ad ogni genere di “menzogne, ripieghi meschini, sotterfugi degradanti, bassi raggiri”.
Peccato che con la Muti giri male. Un giorno, mentre si trova a casa di lei per dare come al solito un parere su dei mobili di antiquariato al marito, approfittando di un istante in cui rimangono da soli le afferra il polso ed esclama:
“Io perdo la ragione…Io divento folle…Ho bisogno di te, Elena…Ti voglio…”
Ma con lei la tattica del disco rotto non funziona più. La donna infatti si libera dalla presa e risponde:
“Vi farò dare da mio marito venti franchi. Uscendo da qui, potrete soddisfarvi.”
Beh, direi di metterla in repertorio.
Per Andrea è uno smacco, ma c’è sempre la ruota di scorta, ovvero quella disgraziata di Maria che, a differenza della Muti, è meno scafata ed è pure seriamente innamorata. Sperelli dirige tutte le suine energie verso di lei, stordendola, ammaliandola, seducendola definitivamente fino ad ottenere la sua completa capitolazione.
Siamo quasi alla fine: succede che il marito di Maria ha dei problemi economici; la donna decide di non abbandonarlo e di lasciare Roma con lui, ma non senza prima salutare l’amato Andrea. Quest’ultimo, sconvolto dalla notizia appena ricevuta secondo la quale la Muti ha un amante nuovo di zecca, quando vede la Ferres le salta praticamente addosso, e tra un’effusione e l’altra vorrebbe dire:
“Ohhh, Maria, Maria, mia adorata!” e invece gli scappa un bell’ “Oh, Elena, Elena, mia ador…..oh, cazzo.”
Ooooooooooops.
Questa è brutta. Molto, molto brutta. Bruttissimamente brutta.
Disastro. La Ferres, indignata, scappa via, lasciando Andrea inebetito più dalla stupidità del suo errore che dal dispiacere.
Così termina il romanzo, con questa tremenda gaffe a dimostrare che per fare il Don Giovanni ci vuole la stoffa, un po’ più di concentrazione e una buona memoria.
Salutiamoci con un D’Annunzio dixit:
“Riaccendere un amore è come riaccendere una sigaretta. Il tabacco s’invelenisce; l’amore, anche.”
Povero Sperelli, per un nomino sbagliato quanta confusione!
E dire che Ornella Muti ha scelto il nome d’arte proprio pensando a D’Annunzio…
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Dai, davvero? Non lo sapevo!
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Io mo ricordavo di Muti, ma sono andata a guardare per sicurezza su wikipedia, e ho scoperto che anche Ornella viene da La figlia di Iorio. Lei si chiama in realtà Francesca Romana Rivelli (perché non andava bene così?).
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Sì, ricordavo che avesse un nome d’arte, certo che non capisco il motivo nemmeno io.. E poi Francesca è un nome così bello…, 😉
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Ahahahah quasi dispiace per il povero suino!
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😂😂😂
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La gaffe noooo! Dice che c’è dell’autoironia? 😀
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dici
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